EDILIZIA: in aree vincolate per opere interrate occorre avere i titoli edilizi.

Con la sentenza n. 370/2020 la Corte di Cassazione ha confermato una sentenza della Corte di Appello che condannava dei privati per la responsabilità penale di cui ai reati di cui agli artt. 110 cod. pen., 44 lett. c), 95 d.P.R. 380/2001 e 181 d.lgs. 42/2004
In particolare, in area sottoposta a vincolo paesaggistico ed alla disciplina per le costruzioni in zone sismiche, in assenza di permesso di costruire e di autorizzazione paesaggistica, nonché senza preventivo avviso scritto al competente ufficio tecnico regionale, era stato realizzato un intervento di edilizia consistente nell’esecuzione di opere riguardanti un vano con all’interno un piano cottura, lavello, forno e barbecue, posto alle spalle del vano soggiorno-pranzo autorizzato, costituito da copertura in tavelle, fissi e travi di legno, occupante una superficie di mq 35 circa, avente altezza di m. 2,50 circa, porte aventi telaio in ferro e pannelli in vetro; un vano riposto interrato, completo e intonacato, accessibile dal vano sopra descritto, occupante una superficie di mq 10 circa, con copertura piana avente altezza di m. 2,20 circa; vano lavanderia, sempre interrato, completo e intonacato al civile, accessibile dal vano di cui al punto precedente, occupante una superficie di mq 11,2 con copertura piana avente altezza di m. 2,20 circa;- altro manufatto interrato posto nella particella n. 852 del foglio di mappa 66, completo e intonacato al civile, destinato a magazzino, occupante una superficie mq 23,4 circa con copertura avente altezza di m. 2,40 circa. Trattasi di realizzazioni interrate realizzate in un’area afferente una zona urbanistica soggetta a vincolo paesaggistico.
Avverso a tale pronuncia, i predetti privati, hanno proposto un ricorso in Cassazione ritenuto inammissibile.
Vediamo le motivazioni rilevate direttamente dalla Sentenza:
Va osservato, con riferimento al primo motivo di ricorso, che i ricorrenti contestano, in sostanza, in relazione al reato paesaggistico, la effettiva offensività delle opere realizzate sul presupposto che il bene giuridico tutelato sarebbe “il valore ‘visivo’, ossia l’incidenza sul paesaggio che non deve essere ‘visivamente’ compromesso dall’opera realizzata”, con la conseguenza che “se l’opera non è idonea ad arrecare alcun pregiudizio al bene tutelato……
Sulla base di tali considerazioni si giungeva pertanto ad affermare che il reato paesaggistico è configurabile anche se la condotta consiste nell’esecuzione di interventi senza autorizzazione i cui effetti, per il mero decorso del tempo e senza l’azione dell’uomo, siano venuti meno restituendo ai luoghi l’originario assetto (Sez. 3, n. 6299 del 15/1/2013, Simeon, Rv. 254493, cit.). Si è ribadito anche che la punibilità del reato in questione è esclusa solo nell’ipotesi di interventi di «minima entità», inidonei, già in astratto, a porre in pericolo il paesaggio, e a pregiudicare il bene paesaggistico-ambientale (Sez. 3, n. 39049 del 20/3/2013, Bortini, Rv. 256426). Tali principi sono stati affermati anche con riferimento all’ipotesi delittuosa disciplinata dal medesimo art. 181 d.lgs. 42\2004 (Sez. 3, n. 34764 del 21/6/2011, Fanciulli, Rv. 251244)”.
Ciò considerato, deve osservarsi che il riferimento alla rilevanza “visiva” degli interventi in zona vincolata ai fini della configurabilità della violazione paesaggistica formulato in ricorso non può in alcun modo essere condiviso, perché non trova riscontro nella disciplina attualmente in vigore. Invero, la giurisprudenza di questa Corte, sotto la vigenza della legge 431/1985 aveva, in due occasioni, rimaste tuttavia isolate e relative alla marginale ipotesi di interventi manutentivi (pavimentazione di un piano di calpestio in un caso e mutamento apportato su pareti prospettanti su cortili o aree interne agli edifici e chiuse su ogni lato), escluso la sussistenza del reato paesaggistico, ritenendo tali opere, nel primo caso, non suscettibili di “verticalizzarsi con occlusione ed offesa di visioni prospettiche e d’insieme” e, pertanto, non idonee a provocare alterazioni nel senso postulato dalla legge (Sez. 3, n. 2072 del 23/6/1994, Standinger, Rv. 198836) e, nel secondo, perché le opere eseguite non erano state ritenute capaci di mutare in modo rilevante o essenziale le caratteristiche originali dell’area vincolate e non riguardavano prospetti visibili sotto il profilo paesistico (Sez. 3, n. 660 del 24/4/1992, De Luca Di Roseto Tupputi Schinosa, Rv. 190780).”
Con il d.lgs. 157/2006 veniva poi modificato il primo comma che risultava, conseguentemente, così formulato “ai fini del presente codice per paesaggio si intendono partidi territorio i cui caratteri distintividerivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni”.
“In tale definizione già era percepibile una considerazione del paesaggio particolarmente ampia e non certamente limitata alla mera rilevanza estetica, stante il riferimento espresso all’origine dei caratteri distintivi del territorio ed alla salvaguardia che si intende assicurare ai valori espressi dal paesaggio come “manifestazioni identitarie percepibili”.
“Come osservato in dottrina, il legislatore è pervenuto ad una nozione di paesaggio quale sintesi del rapporto tra uomo e natura e le mutue interrelazioni, capace di caratterizzare parti del territorio. L’ampia concezione della nozione di paesaggio accolta dal legislatore risulta evidente anche dalla definizione dei beni paesaggistici e dalla loro collocazione, nell’art. 2 del d.lgs. 42/2004, nella nozione di “patrimonio culturale”, ove sono definiti quali immobili ed aree “costituenti espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio, e gli altri beni individuati dalla legge o in base alla legge” poi individuati secondo quanto stabilito dagli artt. 136 e seguenti.
“La definizione di paesaggio di cui all’art. 131 citato ha subito poi radicali modifiche ad opera del d.lgs. 63/2008, risultando attualmente strutturato in maniera tale da evidenziare in maniera ancor più evidente l’ampia portata della definizione.
Stabilisce infatti il primo comma che “per paesaggio si intende il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni” e, nel secondo comma, che “il presente Codice tutela il paesaggio relativamente a quegli aspetti e caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell’identità nazionale, in quanto espressione di valori culturali”.
“Ancora, nel quarto comma, si afferma che “la tutela del paesaggio, ai fini del presente Codice, è volta a riconoscere, salvaguardare e, ove necessario, recuperare i valori culturali che esso esprime (…)” e, nel quinto comma, che “la valorizzazione del paesaggio concorre a promuovere lo sviluppo della cultura”.
“ Ciò ha portato la giurisprudenza amministrativa, come accennato in precedenza, ad osservare come “la individuazione dei beni paesaggistici non sia caratterizzata dalla attenzione alla rilevanza estetica dei beni limitata alla panoramica e all’aspetto, ma soprattutto tenda alla conservazione delle caratteristiche di un bene per i profili espressivi di “identità”. Tale nozione rinvia ad un insieme di valori ed elementi di carattere storico, economico, sociale, antropologico (…)” (TAR Lazio (Roma) Sez. 2 n. 3577 del 1/4/2014
“ La natura delle opere, soggette a permesso di costruire e del tutto avulse da quelle rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 22 d.P.R. 380/2001 evidenzia poi la manifesta infondatezza anche del terzo motivo di ricorso, atteso che la procedura sanzionatoria di cui all’art. 37 del medesimo d.P.R. riguarda soltanto gli interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività.”
“Manifestamente infondato risulta, infine, anche il quarto motivo di ricorso. Il diniego delle circostanze attenuanti generiche è stato giustificato dai giudici del merito con espresso riferimento alla notevole consistenza dei manufatti realizzati, alla gravità della condotta ed all’assenza di segni di resipiscenza, osservando, meramente per inciso, che gli imputati ben avrebbero potuto demolire spontaneamente le opere.”

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